Mese: agosto 2014

Un murale al giorno (toglie la malinconia di torno) /32

Bentornati dalle vacanze! Riprendiamo il progetto “Un murale al giorno…..” Oggi vi presento un’opera di lettering presente al MAAM, quel Museo dell’Altro e dell’Atrove di Metropoliz di cui tanto vi ho finora parlato e di cui tanto ancora parlerò!

2014-08-30

Partizan, ovvero come far convivere le varie anime della street art

Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz_città meticcia /7

Urge tornare al MAAM, in quel museo dell’altro e dell’altrove di Metropoliz dove si sta sperimentando con successo un nuovo modo di fare arte e principalmente cultura per la gente, nel senso che la gente riesce a fruire a pieno del messaggio lanciato dagli artisti che si mettono in gioco andando a fondere le loro opere sui muri scalcinati di una ex fabbrica di salumi sottratta alla speculazione edilizia dove sembra dovesse nascervi il solito centro commerciale. Fin dal momento in cui varchi il cancello di questo borgo museale che si chiama Metropoliz_città meticcia ti rendi conto di trovarti, si direbbe negli anni ’50, ai confini della realtà: qui hanno scelto di vivere un folto numero di senza casa, di tutte le etnie, sperimentando una non facile convivenza dove ogni giorno si mettono in discussione usi e costumi che la gente si è portata dai propri paesi di origine e, per chi non ne ha mai avuto uno, legati alla propria mentalità che per centinaia di anni non ha permesso contaminazioni dall’esterno. A smussare i contrasti ci si prova con interminabili assemblee; di contro i bambini vivono le ore libere in comunione, scorrazzano per il borgo, frequentano la ludoteca assistiti da giovani volontari, sottraggono agli artisti presenti al MAAM a realizzare le loro opere colori e pennelli e si improvvisano artisti anche loro, vedono poca televisione, non conoscono i videogiochi, insomma fanno una vita veramente a misura di bambino e si preparano a diventare adulti con una mente leggermente più aperta di quei bambini che, contro la loro volontà, si trovano normalmente paracadutati in un mondo, al contrario, fatto solo a misura dei consumi.

Immersi in questa atmosfera surreale, si varca una delle soglie di ingresso dell’edificio che è il MAAM, architettura post-industriale: sono ancora presenti macchinari utilizzati 50 anni fa per le varie fasi di lavorazione della carne di maiale, dalla “pelanda” ai ganci per la sezionatura delle carni, dalle vasche di raccolta ai canali di scolo fino a giungere al depuratore/raccoglitore di liquami. Tutto questo è stato splendidamente compendiato nell’opera “La Cappella Porcina” realizzata di recente dai due giovani artisti spagnoli, Pablo Mesa Capella e Gonzalo Orquìn; l’opera copre un muro lungo 30 metri, quindici enormi maiali appesi, squartati, sanguinanti, due che spiccano il volo verso un futuro di speranza.

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Pablo Mesa Capella è laureato in Regia scenica e drammaturgia; è un artista poliedrico che spicca per il suo particolare approccio alla fotografia: non si limita a fotografare la realtà ma usa anche le fotografie già fatte, che lui trova, con impegno maniacale, nei mercatini delle città di tutta Europa e che risalgono al periodo a cavallo tra il 1800 ed il 1900, quelle che, allora, venivano scambiate come dei veri e propri biglietti da visita. Questa è la materia prima per le sue istallazioni dove usa le fotografie come fossero mattonelle, disponendole sui muri di interi palazzi; famosa la sua installazione realizzata sulle mura esterne del pastificio Cerere nel quartiere di San Lorenzo a Roma.

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il maiale prende il volo

Gonzalo Orquìn, anche lui artista poliedrico, predilige l’uso della macchina fotografica per comunicare con il mondo; salì alla ribalta delle cronache nell’autunno del 2013 quando il vaticano minacciò azioni legali nei confronti di una galleria romana nel caso avesse inaugurato una sua mostra dal titolo “Si, quiero” dove erano esposte fotografie che riprendevano persone dello stesso sesso che si baciavano dentro le chiese più belle della capitale. Nel campo della pittura Gonzalo si è formato artisticamente esclusivamente nel nostro paese, dice di non aver alcun rapporto con gli artisti spagnoli; i suoi maestri sono, nell’arte classica, Giotto, Bellini, Velàsquez nei moderni Balthus e Picasso col quale dice di aver sempre avuto un rapporto speciale, intimista. Sua è l’impronta maggiore in questa cappella porcina che vuole essere un’ironica provocazione alla più nota opera michelangiolesca: auspichiamo che abbiano in comune, oltre al nome anche l’immortalità artistica.

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il maiale squartato

Altro artista eclettico che di recente si è cimentato nel dipingere al MAAM è Mauro Maugliani; forse ho sbagliato nel dire dipingere, il verbo più adatto sarebbe “scrivere”, sì perché l’artista ha realizzato le sue opere letteralmente scrivendo con una penna a biro, più precisamente una “Bic”. Formatosi alla tecnica del restauro, basa la sua ricerca proprio sull’azione del tempo sulle opere d’arte. Ecco perché si è concentrato su opere realizzate con la penna a sfera che ha un inchiostro con componenti fotosensibili che viene così intaccato dalla luce: con il tempo l’opera sbiadisce ed andrà ad assumere un aspetto evanescente così da sembrar rappresentare un fantasma. Suoi soggetti preferiti sono i ritratti siano essi di amici o persone che incontra per strada, non necessariamente belle ma che portano visibili le tracce della propria anima sul volto. Queste le sue due opere realizzate al MAAM.

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le due opere sono presentate in altra prospettiva nella pagina 26 del progetto “Un murale al giorno”

Eccoci a Kenji De Angelis, un giovane artista approdato di recente alla street art (una sua bella opera, la prima in assoluto, era presente al Lucernario del Dipartimento di Musica dell’università La Sapienza, diciamo era presente perché di recente la struttura è stata sgomberata su disposizione del Rettore da un mastodontico intervento della forza pubblica e, molto probabilmente, le opere di street art presenti sono andate distrutte.

Nato nel ’91, Kenji vive un’infanzia immerso con la famiglia in notevoli disagi economici, cosa da lui molto sentita per il fatto di risiedere in un quartiere bene della Capitale: “l’unica cosa che permetteva di integrarmi oltre alla mia immancabile passione per i rapporti sociali era disegnare”.

Dopo aver dato libero sfogo alla sua propensione per l’arte frequentando il liceo artistico, si iscrive all’università ad un corso di laurea che non ha niente a vedere con la carriera artistica ma non abbandona il disegno e la storia dell’arte e continua ad esercitarsi e informarsi su nuove tecniche. La svolta avviene con l’occupazione del “Lucernario”; In quel posto, grazie all’appoggio delle persone che lo frequentano riesce a mettere da parte le sue paure del fallimento e a rendere produttiva la propria passione. Realizza la sua opera con uno slancio eccezionale, e con meticolosità maniacale disegna i peli del manto delle scimmie così perfetti ed ognuno distinto dagli altri dal farli sembrare tangibili.

Dopo il Lucernario è stato chiamato a realizzare questo murale al Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropliz, ha poi iniziato a girare Roma alla ricerca di muri, pannelli, spazi per dimostrare a tutti cosa ha tenuto dentro negli anni di “inattività”. Da recenti notizie sta girando per l’Europa alla ricerca di muri adatti a fargli esprimere tutte le sue potenzialità. Auguri Kenji!

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a sinistra bozza dell’opera   –   a destra il murale finito 

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il particolare a destra del murale

Tiuna el Fuerte

Giorni fa , nel corso di una delle mie frequenti battute ciclistiche alla caccia di murales nei quartieri di Roma sono passato di fronte al CSOA Spartaco in via Selinunte nel quartiere Quadraro (quella parte detta “Nuovo” perché coinvolta negli anni ’50 nel violento processo speculativo che ha dato origine al cosiddetto quartiere di Cinecittà, ma noi quella zona preferiamo chiamarla Cecafumo, perché da quelle parti una volta c’era la stazione della Stefer denominata, appunto: Cecafumo. L’edificio ferroviario, di interessante architettura, è ancora conservato, nascosto fra i palazzoni del quartiere ed è oggi sede di un importante Casa delle donne chiamata “Lucha y Siesta”. Torniamo all’argomento: pedalando stancamente, di fronte al CSOA Spartaco ho avuto un sussulto che mi ha fatto quasi stramazzare a terra. Sulla parete di Spartaco non c’era più il murale realizzato ormai da qualche anno da Yurji con le sue biciclette accompagnate dalla formula magica +BC=-CO2 ma in suo luogo vi svettava questo variopinto murale chiaramente ancora in fase di realizzazione.

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 Sta di fatto che mi sono intrufolato nel processo realizzativo dell’opera e sono venuto a sapere che autore era un gruppo di artisti Venezuelani i quali si fanno chiamare “Tiuna el Fuerte”, venuto in italia ospite di una organizzazione politica, e stava battendo la periferia romana alla conoscenza delle varie realtà sociali. Il giorno successivo mi sono presentato, armi e bagagli, ed  ho trascorso alcune piacevoli ore in compagnia dei ragazzi del gruppo e di Spartaco ed ecco cosa ho visto:

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I ragazzi di “Spartaco” nel corso della chiacchierata mi informano che il gruppo venezuelano, da quando era arrivato a Roma, si era scatenato nel realizzare grandi e piccoli murales in giro per le periferie e così il giorno successivo, sempre in bicicletta mi sono messo alla ricerca delle opere, supportato dalle confidenze fattemi a mezza bocca  da diversa gente, chi mi descriveva il posto ma non sapeva la via e chi sapeva in quale via mi dovevo recare ma non sapeva nemmeno quale fosse il quartiere interessato (tipo via Togliatti o via Colombo, o via Collatina o peggio ancora via appia (700 chilometri)).

Ai bordi del parco di Aguzzano, dove quasi trent’anni fa i nostri ragazzi facevano delle spettacolari partite a basaball, ho trovato:

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l’opera 

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un particolare

A Montesacro Alto, in via delle Vigne Nuove c’era quest’altra opera:

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due particolari

A Montesacro ho poi trovato, in via Francesco Cocco Ortu:

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l’opera

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un particolare

Nel frattempo il via Selinunte, al CSOA Spartaco i lavori procedevano febbrili e, al mi ritorno, ecco presentarsi finito, in tutta la sua spettacolarità, il murale:

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p.s. nel corso dell’incontro ho realizzato con il gruppo “Tuina el Fuerte” una breve intervista, ma per indisponibilità temporanea del mio traduttore (è in vacanza!), non possiamo passarla in questo articolo. Ci riserviamo di presentarvela quindi in un prossimo futuro.

Iperrealismo romano

 

Un po’ di tempo fa mi sono recato, fuori orario, al teatro “Palladium” per fotografare un bel murale (ma poco conosciuto) che si staglia sulla parete laterale dell’androne di ingresso.  La struttura del Palladium fu realizzata nel 1927 nel nascente quartiere popolare di Garbatella e diventò subito uno spazio polivalente ospitando spettacoli, film, feste e concerti. Con l’avvento del terzo millennio il Palladium  chiuse (udite, udite) per via dell”inquinamento acustico provocato ai danni di chi abitava nello stesso edificio. Dopo alcune traversie il Palladium venne acquistato dall’Università “Roma Tre” e divenne subito uno spazio culturale importante a disposizione del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’ateneo.

Veniamo al dunque: mentre preparo gli attrezzi per fotografare l’opera, meta del mio viaggio, si avvicina un ragazzo presente nella struttura per motivi di lavoro che incuriosito mi chiede il perché del mio interessamento a quel murale. Fornite le dovute notizie entriamo subito in sintonia e lui mi dice di essere un pittore autodidatta con il pallino della riproduzione meticolosa della realtà. In che senso, dico io, meticolosa riproduzione della realtà? Semplice, tu mi dai un’immagine fotografica ed io te la riproduco tale e quale e forse anche di più! Ho capito sei un iperrealista quindi, un mondo affascinante specie se si è come me che non sono capace nemmeno di rifare uguale la mia stessa firma.

Andrea, questo è il nome del ragazzo, mi fa vedere una foto sul cellulare, non ci credo che sia un disegno, è una foto vera e propria secondo me. Comincia a parlare delle sue opere, mi dice di aver riprodotto anche alcuni personaggi del cinema; incuriosito fisso un appuntamento con lui e quando ci vediamo porta con se anche alcune opere; eccole

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Salvador Dalì                                                                     Charlie Chaplin (grande come un francobollo) 

 

Avrete già capito che “Andrea Falco” predilige riprodurre fedelmente, in modo realistico,  i volti umani, ma secondo me non basta questo a definirlo; io penso che lui cerchi, e ritengo ci riesca, di imprigionare nel supporto anche parte dell’anima del soggetto. In queste altre opere sono ritratti dei bambini:

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Andrea Falco (questo è il suo nome da artista) nasce nel 1979 a Roma .Sin dall’infanzia manifesta una naturale propensione per il disegno artistico ed è, sin da subito, affascinato dall’espressività dei volti umani.  Mentre studia alla scuola media partecipa ad un concorso di pittura organizzato per tutte le scuole medie romane, vincendolo. Come premio ottiene una borsa di studio per l’accademia di belle arti di Milano che purtroppo non potrà frequentare per motivi familiari. Terminata la scuola media abbandona  gli studi per aiutare la famiglia che, a causa della perdita del padre, versa in disagiate condizioni economiche. Il suo percorso artistico pertanto è esclusivamente autodidattico. Rimane sempre fedele al tema della ritrattistica e del realistico, usando tecniche quali pastelli, carboncino e grafite (solo di recente ha iniziato a sperimentare anche la pittura sia a tempera che ad olio). Nel suo pensiero c’è l’idea che alla base di un ritratto realistico ci sia una certa propensione spirituale per l’arte di osservare… l’empatia, ovvero quella sensibilità , quella capacità di sentire e trasferire su di se l’umore e lo stato d’animo di un altro individuo, partendo dall’osservazione dell’espressione del volto o le movenze del corpo. Egli sostiene che un artista per essere iperrealista non deve realizzare un’opera con le mani, bensì con gli occhi; solo così sarà in grado di riprodurre ogni minimo dettaglio.  Giuseppe Mallia, il miglior pittore iperrealista italiano ha detto di Andrea: ho visto le sue opere realizzate con la matita, sono tali da tranne in inganno anche il migliore intenditore di opere d’arte, fino a scambiarle per delle foto e rimanere incredulo e dubbioso che sia, invece, tutto realizzato a mano.

 

Nelle opere seguenti sta a voi lettori indovinare qual’è la foto e qual’è il dipinto:

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Nota per il lettore: ho deciso di proporre Andrea su questo progetto solo dopo che mi ha confessato di ambire a realizzare un murale, possibilmente in una di quelle strutture dove l’arte è una cosa viva!